Si ferma sulla mano che scrive
quella parcella dell’apparenza
che vuole svelare delle tue spalle
un segreto di dune, dei tuoi seni
una fioritura d’uccelli in ciarle
inafferrabili tanto da sperdermi
coperto da un tessuto di cui non comprendo
la trama, la stoffa, le linee di fili
a cui appendo una certa gelosa
partita coi tuoi occhi, le movenze
delle pieghe, i tocchi.
Spogliandoci delle ultime ruvide
impurezze, in un giardino che spilla
rugiade con labirinti di bosso al centro
dell’anima, torrette di tempo
per intere vite di paradiso, e fughe
d’archi mentre vedo tutto, e vedo
ancora da una prospettiva isolata,
temporalesca, la tua aurora
boreale, l’anello che t’incorona
in assenza, in fiera libertà
da ogni nostro ansioso sorvolarti.
Consentiamoci almeno, senza muoverci
dalle nostre poste, i riti dei corpi
con la celebrazione della transustanziazione.
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